Reinaldo Santiago 5et - No Name (2016)
BAND/ARTIST: Reinaldo Santiago 5et
- Title: No Name
- Year Of Release: 2016
- Label: AlfaMusic
- Genre: Jazz
- Quality: flac lossless (tracks)
- Total Time: 00:54:17
- Total Size: 353 mb
- WebSite: Album Preview
Tracklist
01. Abaeté
02. Depois das Dez, Onze
03. My Friend Mikael
04. Índios Tupã
05. CRVLove
06. Città di Castello
07. 15-91
08. Casa 62
09. Samba for Metheny
10. Black Bird
11. What?
Un album che si propone di non aver titolo (No Name) invita, implicitamente, a cercare il significato della musica all’interno di noi stessi, senza preclusioni o ricerche di parametri stilistici riferibili a generi o movimenti culturali.
Essendo sempre l’emozione a guidarci nella conoscenza dell’arte, proviamo a “leggere” i simboli di questa performance come enunciazione delle idee espresse dal batterista bahiano negli 11 brani composti con Mikael Mutti o con Greg Burk, e ci accorgiamo che la linea di fondo è data da un respiro dalle grandi capacità interpretative, mosso da un jazz molto elegante, che rifiuta stridori o ipertecnicismi, lineare nella scelta di una visione armoniosa e solare, piacevole e profonda.
L’attenzione è particolarmente rivolta alle atmosfere sudamericane ( soprattutto nella Saudade dei colori brasiliani) nei momenti di intimismo narrativo descritti dal caldo solismo di Antonello Sorrentino alla tromba e al flicorno, dai suoni evocativi della chitarra di Federico Procopio e dalla colta espressività del piano di Lewis Saccocci, declinati con sensibilità narrativa dal bassista Giulio Scarpato e magistralmente levigati dall’andamento flou ed elastico della batteria di Santiago, peraltro fine vocalist nel diafano letterario nordestino e amazzonico di “Indios Tupà”.
Con personalità garbata e buon gusto il Quintetto equilibra andamenti Bop (“Casa 62”, “Città di Castello”) con inferenze Bossa (“Black Bird”, “CRVLove”), partendo da Regioni dell’Anima di Albe nebbiose (“Abaeté”) e di assorti Crepuscoli (“Depois das dez, Onze”), navigando nei tempi vitali di dissolvenze liriche (“My friend Mikael”) e toniche ibridazioni dedicate a Pat Metheny, éminence grise di una magnifica World Music qui più volte ricordata in modo fluido nelle migliori polarità con Steve Rodby, Lyle Mays e Pedro Aznar (“Samba for Metheny”).
A dir la verità, raramente abbiamo occasione di ascoltare prove di tale levità e di così profonda intelligenza d’arrangiamento, in perfetta sintonia con un vedere il mondo ove l’Importante ed il Dilettevole coincidono nella mobile spiritualità di chi, evidentemente, “vede la vita” solo nel proprio “sentirsi libero”; e questo non può che essere condivisibile, tanto nell’intenzione quanto nella ricerca estetica.
01. Abaeté
02. Depois das Dez, Onze
03. My Friend Mikael
04. Índios Tupã
05. CRVLove
06. Città di Castello
07. 15-91
08. Casa 62
09. Samba for Metheny
10. Black Bird
11. What?
Un album che si propone di non aver titolo (No Name) invita, implicitamente, a cercare il significato della musica all’interno di noi stessi, senza preclusioni o ricerche di parametri stilistici riferibili a generi o movimenti culturali.
Essendo sempre l’emozione a guidarci nella conoscenza dell’arte, proviamo a “leggere” i simboli di questa performance come enunciazione delle idee espresse dal batterista bahiano negli 11 brani composti con Mikael Mutti o con Greg Burk, e ci accorgiamo che la linea di fondo è data da un respiro dalle grandi capacità interpretative, mosso da un jazz molto elegante, che rifiuta stridori o ipertecnicismi, lineare nella scelta di una visione armoniosa e solare, piacevole e profonda.
L’attenzione è particolarmente rivolta alle atmosfere sudamericane ( soprattutto nella Saudade dei colori brasiliani) nei momenti di intimismo narrativo descritti dal caldo solismo di Antonello Sorrentino alla tromba e al flicorno, dai suoni evocativi della chitarra di Federico Procopio e dalla colta espressività del piano di Lewis Saccocci, declinati con sensibilità narrativa dal bassista Giulio Scarpato e magistralmente levigati dall’andamento flou ed elastico della batteria di Santiago, peraltro fine vocalist nel diafano letterario nordestino e amazzonico di “Indios Tupà”.
Con personalità garbata e buon gusto il Quintetto equilibra andamenti Bop (“Casa 62”, “Città di Castello”) con inferenze Bossa (“Black Bird”, “CRVLove”), partendo da Regioni dell’Anima di Albe nebbiose (“Abaeté”) e di assorti Crepuscoli (“Depois das dez, Onze”), navigando nei tempi vitali di dissolvenze liriche (“My friend Mikael”) e toniche ibridazioni dedicate a Pat Metheny, éminence grise di una magnifica World Music qui più volte ricordata in modo fluido nelle migliori polarità con Steve Rodby, Lyle Mays e Pedro Aznar (“Samba for Metheny”).
A dir la verità, raramente abbiamo occasione di ascoltare prove di tale levità e di così profonda intelligenza d’arrangiamento, in perfetta sintonia con un vedere il mondo ove l’Importante ed il Dilettevole coincidono nella mobile spiritualità di chi, evidentemente, “vede la vita” solo nel proprio “sentirsi libero”; e questo non può che essere condivisibile, tanto nell’intenzione quanto nella ricerca estetica.
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