Glauco Venier 4tet - Waits (2013)
BAND/ARTIST: Glauco Venier 4tet
- Title: Waits
- Year Of Release: 2013
- Label: Artesuono
- Genre: Contemporary Jazz
- Quality: FLAC (tracks) / MP3 320 Kbps
- Total Time: 01:07:55
- Total Size: 415 Mb / 176 Mb
- WebSite: Album Preview
Tracklist:
01. Frank's Theme 5:21
02. San Diego Serenade 5:33
03. Tango Till They Are Sore 3:45
04. Lonely 6:51
05. Just The Right Bullets 7:03
06. Ruby's Arms 2:39
07. Way Down In The Hole 2:57
08. Tom Traubert's Blues 7:54
09. In The Neighborhood 5:11
10. Good Old World 4:25
11. I Wish I Was In New Orleans 3:54
12. Picture in A Frame 1:37
13. Straight To The Top 3:57
14. Please Call Me Baby 5:17
15. Innocent When You Dream 1:36
Personnel:
Glauco Venier (piano)
Flavio Davanzo (tromba e flicorno)
Alessandro Turchet (contrabbasso)
Luca Colussi (batteria).
01. Frank's Theme 5:21
02. San Diego Serenade 5:33
03. Tango Till They Are Sore 3:45
04. Lonely 6:51
05. Just The Right Bullets 7:03
06. Ruby's Arms 2:39
07. Way Down In The Hole 2:57
08. Tom Traubert's Blues 7:54
09. In The Neighborhood 5:11
10. Good Old World 4:25
11. I Wish I Was In New Orleans 3:54
12. Picture in A Frame 1:37
13. Straight To The Top 3:57
14. Please Call Me Baby 5:17
15. Innocent When You Dream 1:36
Personnel:
Glauco Venier (piano)
Flavio Davanzo (tromba e flicorno)
Alessandro Turchet (contrabbasso)
Luca Colussi (batteria).
A qualche tempo le canzoni di Tom Waits suscitino l'interesse di alcuni jazzisti italiani e no (basti pensare, tra gli altri, a Diana Krall, Serena Spedicato e Laura Fedele). Tra questi il pianista friulano Glauco Venier che ha dato alle stampe un CD con ben 15 tracce estrapolate dal repertorio waitsiano di oltre un ventennio (dall'album The Heart of Saturday night del 1974 a Mule Variation del 1999).
L'opera omnia del cantautore americano, che possiede forti umori jazz - per quella profonda commistione di elementi caratteriali tipici della musica afroamericana dei primordi, per quell'essere intimamente pragmatica, per quel calore acustico, per quella sensazione del "qui ed ora" che traspare dai dischi, per imprevedibilità - ben si presta all'interpretazione di chi suona musica improvvisata di origine americana. Ma interpretare è un'arte complessa, può significare scavare e sezionare, selezionare e scartare, enfatizzare e occultare (e poco altro ancora).
Se si cercassero le barcollanti immagini watsiane, le fumose ambientazioni notturne di personaggi allo sbando, la disarmante bellezza delle ballate cantate con voce immacolatamente roca, le descrizioni epiche di un'America alterata (dai sentimenti, dall'alienazione alle mode dominanti, dalla malinconia), nel disco del Glauco Venier 4et non si troverebbero. Dentro un percorso che tenta di catturare, almeno in parte, lo spirito dei brani originali, Venier, che esclude dal gioco musicale la componente vocale (fondamentale) e quella testuale (necessaria), concentra gli arrangiamenti intorno ad una o più caratteristiche -insite nel modello di riferimento- esclusivamente funzionali (temi, armonie e background).
Il progetto prende corpo in senso tutto strumentale. Si concretizzano improbabili tanghi ("Tango Till They Are Sore"), leziosi esempi di anacronistico hard bop con forti accenti soul jazz ("Way Down in the Hole"), evocazioni apologetiche in salsa latina del mito neworleansiano e delle marching brass band ("I Wish I Was in New Orleans"), richiami al gospel ("In the Neighborhood"). Non mancano nemmeno brani esplicitamente neoboppistici ("Just the Right Bullets") o più mainstream ("Stright to the Top" , "Please Call Me Baby") a conferire quel carattere di consuetà metodicità espressiva al progetto. In Waits il progressivo allontanamento dalla matrice originale - che non è di per sé un male - provoca un logoramento parziale della componente melodica prototipica e una conseguente perdita percettiva dei temi. La cantabilità dei temi waitsiani, che non è sicuramente facile da rendere pienamente, per le continue micro variazioni - funzionali al testo - che l'autore americano inserisce nelle diverse strofe delle canzoni su un canovaccio melodico, viene sovente messa in ombra dalle improvvisazioni. Conseguentemente si ha la sensazione che sia l'estemporaneità a prevalere sugli elementi tematici.
Per fortuna Waits si arricchisce anche di alcune riuscite ballads, le quali valorizzano ampiamente sia la benevolenza che l'incanto delle melodie originali. Esempi fortunati sono "Ruby's Arms" (in piano solo), "Lonely" e "In the Neighborhood" ovvero, lente meditazioni su temi toccanti. Queste ballads arrivano a scavare dolcemente nell'intimo umore di quelle enormi canzoni, al punto che Glauco Venier, trattandole con rispetto, riesce ad attingerne l'essenza direttamente dalla fonte: la fonte del peccato originale della musica di Tom Waits, che conduce prima nel mondo dei disperati e poi in un universo di salvifica e inclassificabile bellezza.
L'opera omnia del cantautore americano, che possiede forti umori jazz - per quella profonda commistione di elementi caratteriali tipici della musica afroamericana dei primordi, per quell'essere intimamente pragmatica, per quel calore acustico, per quella sensazione del "qui ed ora" che traspare dai dischi, per imprevedibilità - ben si presta all'interpretazione di chi suona musica improvvisata di origine americana. Ma interpretare è un'arte complessa, può significare scavare e sezionare, selezionare e scartare, enfatizzare e occultare (e poco altro ancora).
Se si cercassero le barcollanti immagini watsiane, le fumose ambientazioni notturne di personaggi allo sbando, la disarmante bellezza delle ballate cantate con voce immacolatamente roca, le descrizioni epiche di un'America alterata (dai sentimenti, dall'alienazione alle mode dominanti, dalla malinconia), nel disco del Glauco Venier 4et non si troverebbero. Dentro un percorso che tenta di catturare, almeno in parte, lo spirito dei brani originali, Venier, che esclude dal gioco musicale la componente vocale (fondamentale) e quella testuale (necessaria), concentra gli arrangiamenti intorno ad una o più caratteristiche -insite nel modello di riferimento- esclusivamente funzionali (temi, armonie e background).
Il progetto prende corpo in senso tutto strumentale. Si concretizzano improbabili tanghi ("Tango Till They Are Sore"), leziosi esempi di anacronistico hard bop con forti accenti soul jazz ("Way Down in the Hole"), evocazioni apologetiche in salsa latina del mito neworleansiano e delle marching brass band ("I Wish I Was in New Orleans"), richiami al gospel ("In the Neighborhood"). Non mancano nemmeno brani esplicitamente neoboppistici ("Just the Right Bullets") o più mainstream ("Stright to the Top" , "Please Call Me Baby") a conferire quel carattere di consuetà metodicità espressiva al progetto. In Waits il progressivo allontanamento dalla matrice originale - che non è di per sé un male - provoca un logoramento parziale della componente melodica prototipica e una conseguente perdita percettiva dei temi. La cantabilità dei temi waitsiani, che non è sicuramente facile da rendere pienamente, per le continue micro variazioni - funzionali al testo - che l'autore americano inserisce nelle diverse strofe delle canzoni su un canovaccio melodico, viene sovente messa in ombra dalle improvvisazioni. Conseguentemente si ha la sensazione che sia l'estemporaneità a prevalere sugli elementi tematici.
Per fortuna Waits si arricchisce anche di alcune riuscite ballads, le quali valorizzano ampiamente sia la benevolenza che l'incanto delle melodie originali. Esempi fortunati sono "Ruby's Arms" (in piano solo), "Lonely" e "In the Neighborhood" ovvero, lente meditazioni su temi toccanti. Queste ballads arrivano a scavare dolcemente nell'intimo umore di quelle enormi canzoni, al punto che Glauco Venier, trattandole con rispetto, riesce ad attingerne l'essenza direttamente dalla fonte: la fonte del peccato originale della musica di Tom Waits, che conduce prima nel mondo dei disperati e poi in un universo di salvifica e inclassificabile bellezza.
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